2 anni

È da ieri che ci penso e per un attimo ho temuto di aver dimenticato il giorno in cui te ne sei andato. Ma poi ho ricordato quanti 8 ci fossero in quella data e mi è tornato tutto in mente.

Questa sera, senza preavviso, ho rivissuto come fosse ieri l’ultima nostra telefonata. Quando tu faticavi a parlare e io,pur di non farti sentire il mio dolore,cercavo di farti ridere. Ricordo perfettamente dove fossi (al mare a prendere Aurora) e ricordo perfettamente ogni parola che ci scambiammo. Non riuscivi a parlare per la sete e io pensai fosse il tuo solito modo di dirmi “ricordati il vino quando vieni su”. E infatti risposi “tranquillo papà, l’ho preso il vino. Quando vengo ce lo beviamo”. E invece la tua era sete di acqua, la gola arsa e la bocca secca.

Solo quando sentii la mamma sotto dirmi “ti aspetto ma fai presto” capii che forse non ci sarebbe stato tempo per l’ultimo bicchiere di vino,né per l’ultimo abbraccio né per l’ultimo sorriso. Ricordo la fatica del viaggio verso casa, cercando di non piangere per non allarmare né aurora né Fabri; ricordo lo sguardo che ci siamo scambiati io e lo zio quando misi giù il telefono e mi vide gli occhi lucidi; ricordo quanta forza ci misi nel ricacciare indietro le lacrime prima di entrare in casa. Quella sera chiusi a chiave il dolore per non doverci fare i conti, sperando di potermi svegliare il giorno dopo come nulla fosse.

E invece te ne sei andato la mattina dopo, senza che tu avessi il tempo di rivedere me né Giulia. Senza che io avessi il tempo di stringerti le mani e baciarti sulla guancia ispida di barba mal fatta. Ricordo la telefonata, quella mattina, un mercoledì. Ero da Arcaplanet a prendere le ultime cose prima di partire per venire su la settimana dopo. Ricordo il silenzio della mamma, il suo singhiozzo e lì ho capito. Non una lacrima è scesa, niente è cambiato. Ho finito di fare la spesa e sono tornata a casa. Mi muovevo come un automa, senza sentire apparentemente nulla, sempre col pensiero di non spaventare Giulia che ancora non sapeva nulla ma che capì non appena vide il mio viso. È stato un viaggio assurdo, dove non si è parlato del dolore né di te. Dove abbiamo cercato, fino all’arrivo a casa, di non pensare a cosa ci aspettasse.

Tutto è finito quando ti ho visto in quella bara. Tutto si è sciolto, tutto è scivolato via. Era tutto finito. Ed è stata l’ultima volta che ti ho visto.

Non ti sogno da un po’. E da un po’ non ti pensavo così, in quei giorni. Oggi è arrivato e come un fiume in piena il ricordo di quei giorni di 2 anni fa mi ha travolta. Ma le lacrime di oggi sono solo di dolorosa malinconia, per quegli abbracci, quei messaggi, quelle risate che non ci saranno più e che mancano.

Domani sarà il giorno in cui ti abbiamo detto addio e chissà se ci vedremo in qualche sogno per salutarci di nuovo❤

Ti voglio bene papà.

V.

Come un’onda

Come un’onda

Come un’onda questo libro ti prende e ti trascina al largo. Come un’onda che arriva da lontano,si carica piano piano fino a che arriva a toccare la riva,ti aggrappa le caviglie e ti porta con sé.

Inizia piano,la storia di Ada e Teresa,nipote e nonna,che vivono da sempre sole e chiuse nel loro mondo fatato. O almeno è così che vede il mondo Ada,una ragazza dall’età indefinita che ancora sembra aggrapparsi alla gonna della nonna per la paura di perdersi e di non ritrovare più la strada. Si affida completamente alla visione pratica e senza esitazioni della nonna,una donna che ha dovuto tornare a fare la madre quando Ada è entrata da quella porta e non se n’è più andata. Si è promessa di rendere il mondo di Ada migliore di quello che realmente fosse,ha voluto proteggerla con il suo amore e le sue raccomandazioni (vestiti di rosso che il rosso ti dona,pettinati,metti sempre un filo di rossetto);una donna che da sola è riuscita a crescere una ragazza fragile e “diversa”,con il suo modo di vedere il mondo pieno di sfumature,dettagli per altri insignificanti ma per lei fondamentali (il colore della carta per il regalo del suo Penna,il colore del nastro della scatola dei rossetti della nonna,lo sguardo delle persone il lunedì mattina).

Ada è una donna fuori dal tempo,fuori dal mondo;ed è esattamente questo suo modo di vedere il mondo che ha attirato Matteo (il Penna),un uomo sempre in viaggio per lavoro e sempre a contatto con medici e ospedali,dove incontra e impara a conoscere la ragazza seduta sempre allo stesso tavolino del bar,ogni mattina di ogni settimana. Lo specchio è stato l’artefice del loro incontro (dove lei lo guarda riflesso immaginando di parlargli e lui la osserva quando guarda fuori dai finestroni immersa nei suoi pensieri),il rum è stato ciò che li ha fatti avvicinare (lui ne beve un sorso e lei,assaggiandolo,lo lancia dal parapetto) e una Margherita lasciata al centro del tavolino è stato l’inizio della loro storia.

Ada è in ospedale per la nonna,che si è ammalata all’improvviso e senza preavviso se ne sta andando senza fare rumore. Questo Ada lo capisce,glielo ha insegnato la nonna:le cose belle hanno sempre un rumore particolare e lo capisci subito che si tratta del rumore di qualcosa di nuovo che inizia. Le cose che finiscono,invece,non fanno rumore, smettono semplicemente di essere. Ada sente il rumore dell’inizio della sua storia con Matteo:è quello che fa un petalo di fiore quando cade. Si vedono sotto il ponte della statale, in una locanda vicino all’ospedale, in un loft che lui ancora non ha arredato dove c’è solo una enorme vasca interrata dove lui ama immergersi come al mare. Per lei questi sono momenti preziosi dove sono solo loro due e dove lei può trovare un porto sicuro in cui rifugiarsi ora che la nonna non può più proteggerla.

Giulia ascolta i suoi aneddoti mentre si occupa di Teresa e piano piano si avvicina a questa ragazza così distante dalla sua realtà,dal suo mondo e dal suo modo di trattare il mondo. Giulia ha tutto sotto controllo,nel lavoro e nella vita;ha una carriera,seppur diversa da quella che si era immaginata,ha un fidanzato che a breve sposerà e una casa arredata come una di quelle riviste patinate che la madre ama sfogliare. Non ha dubbi sulle sue scelte e ascoltando Ada si rende conto di quanto certe sfumature,certi dettagli (il rumore del respiro del Penna che si addormenta,la pressione della mano che si allenta quando Teresa prende sonno)le sfuggano. Non si ricorda quando è stata l’ultima volta che ha ascoltato il respiro del suo compagno mentre dorme,non si ricorda il colore del nastro che avvolgeva la scatola del solitario che porta all’anulare e non ha idea di cosa possa desiderare a Natale che non sia un maglione di cachemire.

Quando siamo ormai sulla punta dell’onda,pronti a farci riportare docilmente a riva,la vera onda impetuosa ci travolge,ci trascina sul fondo e ci fa mulinare. Cerchiamo di contrastarla per tornare a galla e respirare ma non ci riusciamo;e così ci lasciamo andare alla sua forza aspettando la fine che sappiamo vicina. Ed è in quel momento che riusciamo a vedere con più lucidità ciò che ci circonda,a concentrarci sul respiro e a rilassarci; così sapremo come tornare a galla senza affanni ammirando lo spettacolo della luce che nel frattempo filtra nell’acqua come una bussola che ci guida alla fine del viaggio.

Sentimenti contrastanti,di empatia ma anche fastidio per Ada che si mostra troppo fragile e ingenua ma che in realtà è l’unica nella storia a sapere DAVVERO dove vuole andare e come fare per arrivarci. Tutti gli altri personaggi orbitano intorno a lei senza meta, persi e con lo sguardo spaurito, in attesa che qualcuno indichi loro la strada. Ma non lo sanno. Lo sapranno solo alla fine e quello che faranno sarà dire GRAZIE proprio a lei,la ragazza che ascolta “Il rumore delle cose che iniziano”.

A presto. V.

Una sera a Fano

Se fossi ancora qui potrei dirti che questa sera sono a Fano in un ristorante sul mare,ma proprio sul mare,sotto vedi (a quest’ora le senti solo ma te le puoi immaginare) le onde che si infrangono placide sugli scogli,di fronte la costa illuminata con tanti puntini che uniti fanno una lunga linea morbida come un serpente e sopra un cielo stellato che lascia senza fiato. Le candele,il vento quasi caldo (perché siamo pur sempre a metà settembre e la giacchetta ci vuole se non vuoi prenderti la prima influenza della stagione),il vino che scalda l’atmosfera,i sensi che si riaccendono per assaporare gli ultimi istanti di questa estate da incorniciare.

Ti direi che dietro questa cena c’è la voglia di festeggiare un piccolo traguardo personale,come il test di psicologia passato alla grande, per una seconda gioventù e una seconda laurea che quando arriverà sarà ancora più speciale della prima. Perché voluta,sudata e scelta con tutta me stessa.

E ti direi che qui di fianco a me sta mangiando uno dei calciatori che abbiamo ammirato nelle nostre domeniche allo stadio: Daniele Massaro,riconosciuto subito,anche con un po’ di pancia e con gli occhiali sul naso. Che dire,se non fossi troppo timida ma soprattutto così rispettosa della sua intimità gli avrei chiesto un selfie! Ma a chi mandarlo,se tu non puoi vederlo? E allora mi sono limitata a osservarlo pensando alle nostre domeniche e al nostro milan,quando ancora i colori rossoneri li avevi nel cuore.

Bello,sarebbe stato bello; mi accontento pensando che da lassù ti stai godendo stessa scena,sorridendo ai miei stessi ricordi.

Quella che non sei

Nella notte delle stelle cadenti sono qui,in giardino,con un bicchiere di vino (la rima non è voluta,lo giuro) ad aspettare di vedere un movimento,anche piccolo,lassù nel cielo terso (avrei potuto scrivere blu, ma poi le rime sarebbero diventate due e avreste pensato ad una forzatura 😉).

Mentre sto con il naso all’insù cerco di distinguere qualche costellazione,ma la mia conoscenza di astronomia inizia e finisce con il Grande Carro. Poco male.

L’unica cosa che mi interessa è sapere di averti lì,tra i lumicini sopra di me,non per forza il più luminoso (non sarebbe da te farti notare in un modo così da spaccone) ma sicuramente il più intenso. Piccolo ma forte. Un po’ come eri tu fino ad un anno fa,fino all’ultimo giorno,fino all’ultimo respiro.

Oggi,chissà perché,ho riascoltato tutte le canzoni di Ligabue,da quelle cantate a squarciagola in mezzo alla bolgia di uno stadio,a quelle appena sussureste sulla riva di un fiume (e chi conosce il repertorio direi che è un chiaro e voluto riferimento). E come non mi succede per nessun altro,i brividi hanno attraversato il mio corpo dalla prima all’ultima,rievocando dolci ricordi e amare lacrime. Molte sono quasi egoriferite,come se Luciano le avesse scritte solo ed esclusivamente per me. Altre rimandano a immagini,stralci di passato ed emozioni che riguardano te,noi. Il primo concerto mancato (da me); il primo concerto per me,di lui; il primo cd; la prima audiocassetta praticamente distrutta durante un’estate;il cd sempre e comunque inserito nel lettore a fare da colonna sonora ai nostri weekend. E una canzone,che all’epoca non capii ma alla quale adesso,anche grazie alla terapia,riesco a dare un significato e un’interpretazione. Me l’hai sempre dedicata,senza spiegarmi mai il motivo e senza darmi una chiave di lettura che potesse viziare la mia visione del significato.

Oggi,finalmente,riascoltandola ho capito cosa volessi dirmi e mi chiedo,ancora una volta,quanto tu mi conoscessi davvero e quanto ti piacesse la “me” di oggi.

Io,oggi,sto imparando a conoscermi; e a piacermi,nonostante i difetti e le fragilità. Mi piace pensare che la “me” di oggi sarebbe piaciuta anche a te❤

Con amore,

V.

https://youtu.be/Q6IYAb1iwiw

Gabbiani

Non so spiegare perché mi piacciano così tanto i gabbiani. Semplicemente mi fisso a osservarli ogni volta che popolano la spiaggia. Li trovo simpatici e buffi,nel loro modo di volteggiare e chiamare tutti a raccolta e litigarsi un pesce.

Ammiro soprattutto la loro forza,nel resistere anche al vento forte di quelli che portano le bufere dal mare. Ammiro la loro tenacia nel rimanere sulla spiaggia anche quando c’è chi dà loro fastidio. E mi diverto a osservare le loro dinamiche di gruppo: ci sono quelli che rimangono a terra, accovacciati,quelli che girano “a piedi” sulla spiaggia e poi navigano a vista alla ricerca di uno sventurato pesciolino smarrito. E infine ci sono i cosiddetti capibranco che arrivano veloci,sorvolano a controllare e cacciano qualche urlo quando gli altri superano il limite. Hanno delle regole e un codice di comportamento, un po’ come tutti gli altri animali. A differenza nostra,purtroppo.

Non sono gli uccelli più belli che abbiamo nel creato ma sono sicuramente quelli che preferisco. Quando vedo gabbiani,vedo mare;quando vedo mare,vedo sorriso e quando vedo sorriso la giornata è buona.

A presto,

V.

La gola stretta

Troppo tempo è passato dall’ultima volta. Ma la gola ancora ogni tanto si chiude,gratta,soffre e il pensiero corre. Oggi più di altri giorni,tra le montagne il pensiero è volato a te,mentre faticavo nella salita,mentre mi aggrappavo alle radici di piante lì ferme,ancorate da molto più tempo di me,di noi. Tu amavi la montagna,amavi camminare,faticare,sudare e poi respirare a pieni polmoni una volta raggiunta la vetta. E così ho fatto anche io,arrivata su,lassù da dove si vedono le montagne innevate:ho esultato respirato e mandato un pensiero a te che lassù le vedi ancora meglio.

V.

A San Valentino voglio riposare

A San Valentino voglio riposare

A un passo da San Valentino l’unica mia richiesta è “fatemi riposare”.

Avere una famiglia,essere una compagna, avere una casa a cui badare,degli animali da accudire,un lavoro da svolgere al 100% delle proprie forze perché basato sulla performance e sull’efficienza. E magari trovare anche il tempo di sentire gli amici,la mamma,o fare qualcosa per sé.

Non vuole essere il solito luogo comune che le donne fanno in un giorno più di quello che un uomo medio farebbe in una vita; dico solo che sono stanca. La mia testa è stanca e di conseguenza il mio corpo soffre.

Rinascerei donna altre mille volte perché la grinta,la forza,il coraggio,l’amore che una donna mette in ogni singola azione che compie l’uomo non può proprio comprenderla. E non potrebbe,a mio parere,nemmeno sopportarla. Difficilmente capisce la volontà che una donna mette nel fare tutto quello che fa sapendo che sarà sempre e per sempre giudicata per l’unica mancanza che avrà. Sia essa nel lavoro che nella famiglia.

Per questo l’unica cosa che chiedo a questo San Valentino è il riposo. Sapere che,almeno per un giorno,ci sarà qualcuno che penserà alla cena o alle pulizie o ai figli senza che ci sia sempre io dietro le quinte a dirigere la scena.

Buon San Valentino a tutte/i.

V.

Febbraio, il tuo mese

Febbraio, il tuo mese

Gennaio è sembrato non finire mai, un mese dopo Natale sembrava fosse passato un anno. Ma è sempre stato così, gennaio; lungo più degli altri, grigio più degli altri, interminabile come nessun altro.

Ma alla fine ce l’abbiamo fatta, ce lo siamo lasciati alle spalle e senza rendercene conto siamo quasi a metà febbraio. Incredibile. Il tempo, mai come in questo caso, è relativo; quando vuoi che non passi mai passa in un batter di ciglia, quando vorresti farlo correre a tutta velocità rasenta l’andatura del bradipo. Tant’è, che ora sono qui e penso che fra una settimana è San Valentino (di cui mi interessa meno che niente) e che, cosa ben più importante, fra 2 settimane esatte è il tuo compleanno. Quest’anno sarebbero stati 60, tondi tondi. Ero già pronta con i palloncini a forma di numero, la torta a forma di numero, tutto a ricordarti che il tempo passa anche per te ma che rimani sempre il papà più figo del pianeta.

No, invece no; hai preferito finire la tua corsa ad un giro dal traguardo salutando tutti e lasciandoci a bocca asciutta, senza possibilità di rivincita né di appello. Io che pensavo che fosse Gennaio il mese più triste, devo dirti che da quando è iniziato Febbraio è tornata la malinconia del Natale, la consapevolezza dell’assenza e il peso sul petto che non vuole lasciarmi in pace. Do la colpa all’influenza, alla stanchezza, al fisico che non regge lo stress; ma la sola e unica verità è che il dolore è così dentro, così profondo, che il malessere curato con la tachipirina non mi abbandona. Lunedì è stata una pessima giornata, avrei affrontato tutto rintanandomi sotto le coperte e chiudendo gli occhi fino al giorno dopo, che mi avrebbe distratto con tutti i problemi da risolvere al lavoro. Ma chiudendo gli occhi mi saresti riapparso come nel sogno di quella notte, in una forma che era la tua ma non eri tu. Sembravi tu, ma non sentivo te; ero come uno spettatore all’interno del mio stesso sogno, ero lì ma non potevo muovermi e ti vedevo come attraverso un acquario si guardano i pesci nuotare inconsapevoli della nostra presenza. C’era il prato, c’era il barbecue, c’era la festa e c’eri tu; non ho avuto modo di parlarti, non so cosa tu stessi dicendo perché quel vetro era troppo spesso per sentire la tua voce. Vedevo la bocca muoversi ma niente parole; ho provato a interpretare ma non sono così brava sotto pressione. La mamma ti era vicina e ti parlava ma anche in quel caso non ho capito nulla del vostro scambio di battute. Sono rimasta lì, ad aspettare che tu ti accorgessi di me e mi invitassi ad “entrare”. Poi è suonata la sveglia e tutto si è perso. Sono ripiombata in un sonno vuoto, denso, nero ma senza sogni. Ed è una settimana esatta che succede questo: sono stanca, dormo, non sogno e mi sveglio come se riemergessi da una palude viscida e appiccicosa.

Il tuo compleanno si avvicina e posso solo sperare che allo spegnere delle candeline tu faccia capolino e mi dia un buffetto sulla guancia per ridestarmi da questo incantesimo che mi incatena nel letto senza riposo.

Il pianto; il pianto sarà l’unica arma che potrò usare per togliermi questo fardello di dosso e ricominciare a camminare più leggera. Ma non oggi.

Con amore,

V.

Di notte,in sogno,ho pianto

Di notte,in sogno,ho pianto

Stanotte ti ho sognato. E ho pianto.

Ho aperto gli occhi che era ancora buio,non so che ore fossero; ho aperto e chiuso gli occhi più di una volta per capire se la sensazione che provavo fosse solo nel sogno o fosse reale. Ed era reale. Schiacciamento al petto, respiro corto e affannato,come avessi affrontato una maratona,e dolore. Sconforto. Assenza. Pianto.

Ho pianto nel sogno e ho pianto nella realtà. Ho riprovato,nonostante il dolore,a richiudere gli occhi e tornare lì dove ti avevo trovato,abbracciata a te mentre gli occhi mi si velavano di lacrime. Ma ogni volta il petto mi si appesantiva e il respiro si faceva faticoso. Ho aperto gli occhi sapendo che non ti avrei più trovato nel sogno e ho pianto. In silenzio,mi sono disperata sapendo che questo sarà il primo Natale senza di te,in ogni senso. Non ti troverò al di là di un vetro di ospedale mentre mi saluti con l’ago nel braccio; non ti troverò al capolinea della metro quando arriverò in treno; non ti troverò a capotavola mentre stappi il vino e indossi la camicia nuova che ti avrò regalato. Non apriremo i regali insieme né faremo più cacce al tesoro per trovare il biglietto successivo che porterà al traguardo. Non scriveremo più biglietti di auguri come fossero poesie né sceglieremo il regalo per la mamma.

Era un sogno ma l’abbraccio era così reale,così pieno di calore che ancora lo sento addosso,come se ci fossimo salutati poco fa.

Nel sogno la mamma ci guardava e tu all’orecchio mi hai detto “stai tranquilla,che qui io sto bene”. Lo spero,davvero. Anche se questo non fa stare bene me,almeno per ora.

Ah,un’ultima cosa:eri bellissimo.

Con amore,

V.

2018:fine e inizio

2018:fine e inizio

Il 2018 sta terminando, e da una parte dico “alleluia!!”. Perché diciamolo papi,è stato davvero un anno horribilis. Se qualcuno ha avuto da ridire sull’anno scorso(Per inciso,non io) vorrei sapere chi è soddisfatto di quest’anno pari che molti consideravano di svolta. Sì, di svolta, in una curva a gomito,per un frontale con un tir😑

Ma cerchiamo di guardare come sempre il bicchiere mezzo pieno,per la mia innata positività: la fine di quest’anno mi porta l’unica nota positiva degna di essere citata. La stabilità lavorativa! Finalmente,dopo due anni e mezzo,la mia caparbietà e tenacia è stata premiata e posso annoverarmi nella schiera di quelli che alla domanda “tipo di contratto?” rispondono “Indeterminato”. Bene,il mio bicchiere si esaurisce qui.

Anzi no. A guardare meglio quest’anno sono riuscita anche a prendere la stella di Natale della AIL, quando in primavera non ero riuscita a trovare la begonia sempre della AIL. Un gesto piccolo,probabilmente una goccia nell’oceano,ma che mi ha fatta stare meglio almeno in quel momento. Che poi, in effetti, vederla vicino all’albero e al presepe, illuminata e con i fiori ancora tutti rossi mi dà proprio soddisfazione. Speriamo solo che il pollice verde che pare abbia ereditato da te,anche se in tarda età, mi aiuti a farle raggiungere almeno l’epifania😉

Guardami eh,che stasera saltello per casa e brindo alla mia,anzi,alla nostra 😌

Con amore,

V.